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Dallo shopping compulsivo al decluttering. Come evitare un rapporto psicotico con la merce

La febbre d’acquisto: se lo possiedi sarai felice!

La felicità nelle cose: un percorso negato da molti, ma di fatto perseguito dai più. Che si tratti di una borsa limited edition o dell’ultimo smartphone in vendita poco importa, perché in fondo possedere quell’oggetto significa compiere un ulteriore passo verso la felicità. Può sul serio un abito esclusivo o un accessorio introvabile farci sentire persone migliori? Forse no, eppure ogni oggetto sembra contribuire alla creazione di un’identità, proprio come raccontato in Confessioni di una vittima di shopping. Nel caso di Kayo, la protagonista del racconto, è l’incontenibile e costante voglia di shopping a garantire l’accesso all’esclusivo club delle cosiddette amanti della bellezza, un circolo in cui il compiacimento di ciascuna donna è misurabile, seppur in modo apparente, attraverso gioielli, scarpe e vestiti. Semplice feticismo o vera e propria ossessione? Arriva un momento in cui l’acquisto non è subordinato al soddisfacimento di un bisogno, ma è l’atto stesso di comprare a rappresentare una fonte di realizzazione tratteggiando una dimensione diversa dell’acquisto superfluo.

Possedere meno e in ordine!

Mentre Kayo tenta di riempire la sua ordinaria quotidianità con l’etichetta di qualche importante brand, c’è chi organizza la propria esistenza secondo il mantra di Maya Angelou “we need much less than we think we need”, liberandosi quindi di tutto il superfluo. In un modo opposto rispetto a quello di Kayo, l’armadio diventa specchio della persona: mettere ordine nella mente presuppone in primis un ambiente organizzato secondo una precisa gerarchia dell’utileSi tratta del cosiddetto decluttering, parola dalla cadenza quasi onomatopeica che nel suo significato letterale indica la pratica di fare spazio, distaccandosi a volte stoicamente dagli oggetti inutili e dando nuovo valore a ciò che si conserva. Non si tratta solo di riordinare un ambiente, ma rappresenta un vero e proprio stile di vita che attraverso una ritualità ben scandita porta ad organizzare nel dettaglio differenti aspetti della quotidianità. 

Come stabilire cos’è utile?

Nonostante sia difficilmente collocabile entro confini netti, il concetto di utilità si rivela spesso centrale nel guidare le scelte di ciascun individuo. Ad esempio per chi non dice mai di no allo shopping potrebbe diventare utile comprare dei tappeti anche se a casa ha già la moquette. Ovviamente nel caso di acquisti compulsivi non importa, l’unica cosa da fare è tornare a casa con qualche busta. Al contrario c’è chi potrebbe non riuscire nemmeno a sostituire un vecchio paio di sneakers con nuovi modelli, magari di maggiore tendenza. Equilibrio davvero difficile quello con la realtà materiale, soprattutto considerando che ciò che risulta utile per un individuo non necessariamente lo è altrettanto per un altro. Esiste una linea guida per approcciarsi agli scaffali dei negozi (siano essi fisici o virtuali) in modo bilanciato? Non esistono regole ferree da seguire, ma sicuramente tra i tanti principi elencabili, imparare a piacersi ed accettarsi rappresenta un ottimo punto di partenza! Fino a quando il sogno di un’immagine socialmente perfetta (che di fatto non esiste) si nasconde dietro ad un nuovo rossetto per labbra carnose o dietro all’ossessione per un armadio perfetto nessun’altra strategia potrà funzionare! Lasciare la carta di credito a casa, stabilire un budget massimo, o nel caso opposto essere maggiormente flessibili e concedersi qualche sfizio in più, sono pratiche comunemente consigliate, ma poco utili senza prima una personale riflessione da parte dell’individuo. L’utilità di un oggetto è la causa o il fine del processo d’acquisto? Una soluzione univocamente accettabile forse non esiste, ma provare a rispondere a questo banale quesito può aiutare a capire il meccanismo che dà inizio alla nostra esperienza di shopping.

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